Lacrime e lapilli
Non piango più come un tempo. E non è che sia una cosa buona. Piangere mi ha sempre fatto bene.
Sto parlando di piangere di bellezza, di malinconia, di struggimento, di tenerezza (pure per me stessa), di gratitudine, di lontananza; anche di dispiacere. Non di dolore, magari; non ci si può certo augurare il dolore - anche se poi verrà comunque, e se fa bene anche a quello.
E infatti, quando dico che desidero piangere, mi pento un po’ e temo che gli dei mi puniranno procurandomi una sofferenza per la quale non basteranno lacrime.
Ma adesso sto parlando di quell’altro pianto, quel pianto catartico e rigenerante, caldo e salato, quello che alleggerisce, che ristora, e che una volta finito fa sentire come se si stesse ricominciando.
Mi commuovo, quello sì. Ho il moto di piangere di frequente, ma è un impulso che si ferma allo stato embrionale, un desiderio frustrato, che non ce la fa a esplodere.
Stromboli, da dove sono appena tornata di nuovo, sollecita i miei tentativi.
E così, guardando il mare o il vulcano, guardando ogni singola pianta in fiore, pensando a cosa mai starò facendo della mia vita, a quanta ne sto sprecando, domandandomi a quanta bellezza posso resistere – ho provato a tirare fuori quel pianto, sperando di sprofondarci dentro. Purtroppo si è – invece, ancora, sempre – smorzato.
Mi fa paura non piangere, mi fa sentire inaridita.
Cose che in questi straordinari giorni strombolani avrebbero meritato pianti; cose che hanno ricevuto almeno qualche lacrima incerta.
Abbracciare Pasqualino. La nostra cena con i ricordi e gli aneddoti belli.
L’ora a cavallo tra la fine del pomeriggio e l’inizio della sera a casa Carlotta.
Le botte del vulcano, che ti vibrano dentro.
La mollezza salvifica che ogni tanto mi prende e qualche volta riesce a essere più forte della mia mente feroce.
Peppe l’ormeggiatore che mi accoglie a casa sua anche senza di loro, con i suoi amici liparoti.
Abbracciare e baciare Pacchia – la cana più bella di Stromboli.
Una tenerezza inattesa, inutile perché fine a se stessa, ma che si prende il merito (o si arroga il diritto) di mettermi in discussione.
La giornata di sospiri condivisi con Pasqui (sospiro sempre molto, questo almeno me lo concedo; per prendere fiato, per riemergere da pensieri troppo intensi), e le risate dopo ognuno.
Camminare all’alba.
La generosa amicizia di alcune donne.
Nicola che ride a cena.
I bagni di mare gelido.
Parlare fugacemente con Gabri, e trovare subito l’intesa.
Cantare il pomeriggio con Guido (sobria), mentre Eleonora cerca affettuosamente di accudirmi.
Riuscire a sentirmi un po’ a casa a casa di Pasqui. Pasqui che si acqueta e si fa la doccia nel “mio” bagno.
Il pane al forno di primissimo mattino.
Aver cucinato almeno una volta per loro. Con amore. E gratitudine.